Linguaggio di guerra e guerra civile. Tra popolo e popolazione, appestati e governamentalità: l’eccezione diventa la norma.

Abstract

In questo paper si citano alcuni esempi, non esaustivi, ma emblematici dell’uso del linguaggio di guerra impiegato dal momento della diffusione del covid-19 e ci si domanda che cosa esso produca. Se il primo obiettivo è sicuramente quello di “compattare” coloro cui si rivolge (un “popolo”?) tentando di annientare l’esercizio di spirito critico, si accompagna anche e inscindibilmente alla retorica del sacrificio. Insieme, questi due obiettivi, fungono da acceleratori di processi già in atto: si riflette su quanto velocemente si sia rinunciato ai diritti “borghesi”, ma anche a qualcosa di più profondo. Questo linguaggio partecipa poi all’ingiunzione planetaria a mobilitarsi, che sia per il “terrorismo”, per un terremoto, per gestire la rappresentazione di noi stessi nel mercato del lavoro e nella vita. Ci si chiede che cosa sia realmente il “popolo” e per farlo si sottolinea la sua differenza con la popolazione, e la sovrapposizione che quest’ultima sempre rischia con “gli appestati” (Agamben, Foucault). A fronte del martellante utilizzo di questo linguaggio e della crisi, in grado di disvelare la guerra civile, ci si chiede allora: che cos’è la guerra oggi? Si tratta di una guerra continua, a bassa intensità, caratterizzata dall’indistinzione tra fronte interno ed esterno. Una guerra contro le forme di vita eccedenti, nella emergenzialità costante della contemporaneità.

In this paper we cite some emblematic (even if not exhaustive) examples of the use of the language of warfare employed since the dissemination of Covid-19 and asks what it produces. If the first goal is surely to ‘compact’ the addressed ones (a ‘people’?) attempting to annihilate the exercise of critical spirit, it is also and inseparably accompanied by the rhetoric of sacrifice. These two goals together act as accelerators of processes already underway: one reflects on how quickly ‘bourgeois’ rights have been given up, but also on something deeper (a main example is the celebration of funerals). This language then participates to the planetary injunction to mobilize, whether it is for ‘terrorism’, for an earthquake, or to manage the representation of ourselves in the job market and in life. It is wondered what the ‘people’ actually is and in order to do so, one emphasizes its difference with the population, and the overlap that the latter always risks with «the plague-ridden» (in Agamben and Foucault’s worlds). In the face of the hammering use of this language and crisis, capable of unveiling civil war, it is also wondered: what is war today? It is a continuous, low-intensity war characterized by the indistinction between internal and external fronts. A war against surplus forms of life, in the constant emergence of contemporaneity.