La realtà del male in Xavier Zubiri: una prospettiva a partire da Hannah Arendt
Abstract
Hannah Arendt pubblica nel maggio 1963 Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil; Xavier Zubiri tiene all’inizio del 1964 a Madrid, in uno dei suoi corsi privati, le lezioni su El problema del mal. Nel giro di meno di un anno queste due grandi personalità filosofiche del XX sec. affrontano il problema della natura del male, pur partendo da presupposti differenti. Quella della Arendt è un’indagine strettamente legata alla dimensione storico-politica del male, connessa ai drammatici esiti del programma nazista di ster-minio degli ebrei; Zubiri affronta invece il problema sotto l’aspetto metafisico. Messi a confronto i due percorsi, affiorano alcuni elementi comuni di critica (l’idea del “male radicale” di Kant e il rifiuto del male come sostanza), ma an-che la comune convinzione che il male non sia qualcosa di ontologicamente definito, ma che vada ricercato nel rapporto tra la coscienza e la realtà. Se per realtà la Arendt intende l’insieme dei rapporti socio-politici nei quali si muove la coscienza, per Zubiri la realtà ha invece un potere più radicale e profondo che chiama la coscienza a sé. Quello che emerge dalla ricostruzione è che se per l’una il male, nella sua banalità, è il frutto della coscienza senza pensiero, per l’altro non è che il risultato di una coscienza sorda rispetto alla voce della realtà. Obiettivo di questo confronto è aprire una serie di prospettive che possano mettere in evidenza aspetti peculiari e inediti della riflessione zubiriana sul male.
Hannah Arendt published in May 1963 Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil; Xavier Zubiri held at the beginning of 1964 in Madrid, in one of his private courses, the lessons on El problema del mal. In the space of less than a year, these two great philosophical personalities of the twentieth century tackle the problem of the nature of evil, even though they start from different premises. Arendt’s investigation is strictly linked to the historical-political dimension of evil, connected to the dramatic results of the Nazi program of extermination of the Jews; Zubiri, on the other hand, faces the problem from a metaphysical point of view. Comparing the two paths, some common elements of criticism emerge (Kant’s idea of “radical evil” and the rejection of evil as a substance), but also the common belief that evil is not something ontologically defined, but that it should be sought in the relationship between conscience and reality. If by reality Arendt means the set of socio-political relations in which conscience moves, for Zubiri reality has in-stead a more radical and deep power that calls conscience to itself. What emerges from the reconstruction is that if for Arendt evil, in its banality, is the result of conscience without thought, for Zubiri it is a deaf conscience to the voice of reality. The aim of this discussion is to open a series of perspec-tives that can highlight peculiar and unprecedented aspects of Zubyrian reflection on evil.
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DOI: https://doi.org/10.15162/1827-5133/1430
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