Reset di memoria. Lo spazio urbano di Stoccolma tra modernismo e folkhem nella letteratura di Lena Andersson

Giovanni Za

Abstract


La ricostruzione dello spazio urbano di Stoccolma, realizzata in più tappe tra fine Ottocento e secondo dopoguerra, ha ampiamente ridefinito i perimetri materiali ed immateriali della città e posto in una prospettiva critica l’eredità architettonica e antropologica del passato. La realizzazione del progetto sociale di folkhem (“casa del popolo”), a partire dagli anni Trenta del Novecento, ha contribuito significativamente a una riprogettazione degli spazi pubblici e alla definizione di una nuova identità, in cui la memoria e le tradizioni architettoniche – il nucleo stesso della città – sono state considerate come irrecuperabili alla realizzazione di un ideale urbanistico funzionale e modernista.

L’opera di Lena Andersson – il romanzo d’esordio Var det bra så? (Andersson 1999; Desidera altro?) e la recente trilogia (Sveas son, Andersson 2018; Il figlio di Svea; Dottern, Andersson 2020; La figlia; Koryféerna: en konspirationsroman, Andersson 2022; I Corifei: un romanzo cospirazionista) – riflette sull’influenza decisiva di folkhem nella società svedese del XX secolo e su come gli esiti del processo di modernizzazione operino un reset di memoria, ambendo a cancellare il passato dal paesaggio urbano nel nome di un omnicomprensivo presente, “punta di freccia della modernità”. Tale operazione, tuttavia, mostra risultati ambivalenti: i territori della periferia di Andersson appaiono, come nella definizione di Henri Lefebvre in La produzione dello spazio (1974), come spazio di rappresentazione, conformi al progetto e all’ideale del potere, ma sprovvisti di una pratica spaziale, con cui gli abitanti possano costituire un proprio senso di identità e appartenenza. 


Parole chiave


Folkhem; Lena Andersson; geocritica; Stoccolma; letteratura e spazio

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DOI: https://doi.org/10.15162/2704-8659/1886

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E-ISSN: 2704-8659